Roma, 23 apr. (Labitalia) - Le prospettive future per il secondo pilastro della previdenza, quella complementare, non si annunciano rosee. E' il monito lanciato dall'Inca, il patronato della Cgil, nella ricerca 'Fondi pensione negoziali: un’opportunità da cogliere', presentata oggi in occasione dell'iniziativa organizzata a Roma dedicata al tema 'La previdenza complementare: a più di 20 anni dall’avvio quali prospettive per il suo futuro?'. Per l'Inca, a influire negativamente sulle prospettive di sviluppo delle adesioni ai Fondi pensione sarebbe anche "la scelta del governo di consentire a ciascun lavoratore di poter incassare per tre anni in busta paga l’accantonamento futuro del Tfr, che, ancora oggi, rappresenta la principale voce di contribuzione ai Fondi". "Una misura, questa, decisa per agevolare la ripresa dei consumi in affanno, ma che si potrebbe tradurre - avverte - in un depotenziamento dei Fondi con significative ricadute sull’ammontare delle future prestazioni"."Una prospettiva incerta, dunque, nonostante una dinamica dei rendimenti ampiamente positiva registrata dai Fondi negoziali - ricorda - che a dicembre 2014 hanno avuto un rendimento pari al 7,3% e una rivalutazione del Tfr pari all’1,3%. E d’altra parte nemmeno l’istituzione di un credito d’imposta per gli investimenti infrastrutturali effettuati dai Fondi pensione, previsto nella legge di stabilità, può attenuare gli effetti dell’aumento della tassazione al 20%, né tantomeno rappresentare una misura compensativa". "Per ridurre il debito pubblico, il governo nel solo 2014 ha imposto una pressione fiscale del 43,3%, ma non sufficientemente pago - sottolinea l'Inca Cgil - ha pensato bene di colpire anche Tfr e fondi pensione, le uniche forme di risparmio previdenziale che finora erano riuscite a salvarsi. Con la legge di stabilità 2015, il Tfr, è tassato di più. Se resta in azienda, l’aliquota sulla rivalutazione passa dall’11% al 17%, se va in un fondo pensione, il rendimento è tassato al 20%; se va in busta paga, è soggetto alla tassazione ordinaria".Così, afferma il patronato, "le speranze di uno sviluppo delle adesioni sembrano naufragare insieme alle intenzioni del legislatore che aveva adottato nel tempo una serie di agevolazioni fiscali per favorire le adesioni alla previdenza complementare, sempre più indispensabile per compensare la riduzione del tasso di sostituzione derivante dal calcolo contributivo su cui si stabiliscono le misure delle future pensioni"."Con la legge di stabilità - ribadisce - si arriva addirittura ad aumentare l’imposta sostitutiva a carico dei Fondi pensione, passando dall’11 al 20%. Un aumento che segue quello stabilito dal dl 66/2014, convertito nella legge 89/2014, che aveva previsto già un aumento dello 0,5% rispetto all’anno precedente. Un salasso vero e proprio che va a colpire duramente i 6.584.983 di iscritti alle forme pensionistiche complementari".E questo in un contesto in cui, spiega l'Inca nella ricerca, "la perdurante crisi economica si riflette in maniera pesante sul futuro pensionistico dei lavoratori". "Il nodo, infatti, è quello del tasso di capitalizzazione dei montanti contributivi, calcolato ogni anno dall’Istat sulla variazione media del Pil nel quinquennio precedente. Per la prima volta, causa la recessione economica, questa percentuale è negativa (-0,1927%) e, senza interventi, produrrà l’effetto paradossale di sottrarre soldi dal 'salvadanaio previdenziale' dei futuri pensionati italiani", avverte ancora l'Inca."Quando la norma fu scritta (n. 335/1995) - ricorda - non si era pensato di svalutare le pensioni, anzi fu fissata la rivalutazione annua del montante utilizzando la media di variazione del Pil degli ultimi 5 anni con la convinzione che ci sarebbe stato sempre un andamento positivo dell’indice di ricchezza del nostro Paese. E in effetti dal 1996 le rivalutazioni annue sono state caratterizzate da un trend positivo di crescita".Come sottolinea Morena Piccinini, presidente dell'Inca Cgil, "con l’inizio degli anni della crisi, però, la media quinquennale del Pil si è 'logorata' fino a scendere sotto lo zero: l’effetto perverso che si è venuto a creare è quello che, a legislazione inalterata, e continuando il trend negativo del Pil, ogni lavoratore dovrebbe 'rendere' allo Stato una parte dei contributi accumulati".Eppure, nonostante la perdurante recessione economica attraversata dal nostro Paese, il sistema dei Fondi pensione negoziali ha mostrato di reggere bene alla crisi, assicura l'Inca, "gestendo con efficacia gli andamenti particolarmente avversi del mercato, rispondendo alle sollecitazioni e individuando anche risposte immediate e innovative per salvaguardare l’investimento previdenziale degli iscritti". "Tuttavia, occorre considerare che, ancor oggi, l’adesione addirittura molto scarsa nelle regioni meridionali e insulari, tra i giovani, tra i lavoratori con contratti atipici - dice l'Inca - che faticano a risparmiare con continuità per alimentare una pensione complementare, rappresentano quei nodi che se sciolti potrebbero aiutare l’ulteriore sviluppo del risparmio previdenziale".Alla fine del 2013, ricorda il patronato, erano operanti 510 forme pensionistiche complementari: 39 fondi pensione negoziali (38 da ottobre 2014 con la fusione dei Fondi Perseo e Sirio, 37 da dicembre 2014 con la decadenza di Fontemp); 59 fondi pensione aperti; 330 fondi pensione preesistenti; 81 piani individuali pensionistici (Pip); a questi si aggiunge FondInps, la forma di previdenza complementare residuale istituita presso l’Inps che accoglie i flussi di Tfr dei lavoratori silenti per i quali gli accordi collettivi non prevedono un fondo di riferimento.Rispetto a una platea potenziale di 25,5 milioni di persone, che comprende non solo gli occupati, ma anche coloro che sono in cerca di occupazione, il tasso di partecipazione alla previdenza complementare, riferisce l'Inca, è stato del 24,3% (22,7% nel 2012). Per i dipendenti del settore privato, i soli interessati dal meccanismo del conferimento del Tfr, il tasso di adesione è salito al 32,2%.I rendimenti medi dal 2006 al 2014 sono stati positivi, sottolinea il patronato, per tutte le tipologie di forma pensionistica e per i rispettivi comparti. I fondi negoziali e i fondi aperti nel solo 2014 hanno reso in media, rispettivamente, il 7,3 e il 7,5% al netto dei costi di gestione e degli oneri fiscali. Per i Pip 'nuovi' di ramo III, il rendimento medio è stato del 7,3% al netto dei costi di gestione ma al lordo della fiscalità. Nel 2014 il Tfr si è rivalutato, al netto dell’imposta sostitutiva, dell’1,3%.