Roma, 5 ott. (Adnkronos) - La campagna 2020 delle uve da tavola italiane è caratterizzata da un’offerta connotata da un buon profilo qualitativo. In termini di quantità, la produzione risulta nella media degli ultimi anni, in quanto il calo di resa per ettaro registrato in alcuni areali, a causa di un andamento climatico non ottimale, è stato compensato dall’entrata in produzione di nuovi impianti. Anno dopo anno, l’offerta italiana si arricchisce di uve senza semi, infatti stanno aumentando sia gli ettari investiti, sia le varietà in produzione. Lo rende noto l'Ismea.Per quanto riguarda il mercato, la fase all’origine ha vissuto finora momenti differenti con prezzi altalenanti e non sempre giudicati soddisfacenti dai produttori, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da un livello di resa per ettaro medio-basso. Nella fase al dettaglio, invece, le vendite sono procedute regolarmente agevolate da un profilo qualitativo buono e da un prezzo che – quest’anno – risulta particolarmente concorrenziale rispetto alle altre specie di frutta estiva, in particolare a pesche e nettarine, che spuntano prezzi alti a causa della scarsità dell’offerta. Per quanto concerne gli scambi con l’estero, si segnala un ottimo esordio della campagna di esportazione, non tanto dal punto di vista dei prezzi, in media al di sotto del 5,5% rispetto al primo semestre 2019, quanto per i quantitativi esportati che risultano in aumento del 35%. Le importazioni di uve di contro stagione e di primizie sono state in linea con quelle dell’ultimo triennio. Negli ultimi anni le statistiche relative alle superfici investite a uve da tavola in Italia si sono assestate intorno ai 46mila ettari.Queste superfici sono concentrate in Puglia e Sicilia. I dati relativi al quinquennio evidenziano tuttavia una certa dinamica a indicare il tentativo di adeguare le varietà ai cambiamenti della domanda attraverso l’eliminazione dei vecchi impianti di varietà tradizionali e il reimpianto di nuovi vigneti a varietà apirene. Questi cambiamenti hanno anche leggermente modificato la ripartizione provinciale della produzione con una flessione degli investimenti nella provincia di Taranto; mentre in altri areali pugliesi si sono verificati degli incrementi. Nel complesso, tra il 2015 e il 2019 il saldo delle aree vitate in produzione è comunque negativo, con una flessione di circa 200 ettari.In termini di quantità, la filiera italiana delle uve da tavola si basa su una disponibilità di prodotto che è di poco superiore ad un milione di tonnellate. Il 98% della disponibilità è garantita dalla produzione interna e il restante 2% dal prodotto di importazione. Analogamente a quanto visto per le superfici investite, anche i dati relativi alla produzione evidenziano una forte concentrazione in Puglia e Sicilia, con oltre il 94% della produzione nazionale realizzata in tali areali nel 2019. Va considerato che dell’intera disponibilità, appena il 38% viene assorbita dal consumo interno, con la quota più ampia (45% circa) destinata invece alle esportazioni.La parte di prodotto avviata alla trasformazione in succo è stimata invece nell’ordine del 15%, mentre la quota residua è costituita dalle perdite lungo la filiera e dal prodotto ritirato dal mercato allo scopo di stabilizzare l’offerta. I quantitativi avviati all’industria dei succhi e quelli relativi alle perdite variano di anno in anno a seconda della qualità della produzione, dell’andamento dei consumi interni e del flusso delle esportazioni. Per quanto concerne i consumi interni, si stima che circa i tre quarti siano destinati alla vendita al dettaglio e il restante quarto sia destinato alla ristorazione collettiva.Come anticipato, la filiera italiana delle uve da tavola è fortemente orientata all’export e, in conseguenza di ciò, l’equilibrio economico del settore dipende fortemente dalla domanda estera. In termini di saldo della bilancia commerciale nazionale, tra le diverse specie di frutta, le uve da tavola, con circa 600 milioni di euro, sono al secondo posto precedute soltanto dalle mele che nel 2019 vantano un attivo di 713 milioni di euro. Si consideri, a tal riguardo, che a livello mondiale le importazioni di uve da tavola muovono circa 4,8 milioni di tonnellate di prodotto per un controvalore di 8.900 milioni di euro. Gli USA sono il primo importatore con una quota del 18% in valore, seguiti da tre paesi europei: Paesi Bassi (10%), Germania e Regno Unito (7%).Tra i paesi esportatori, l’Italia si colloca al sesto posto a livello mondiale con spedizioni per circa 635 milioni di euro, preceduta, tra gli altri, dagli Usa e dal Perù, ma è il principale produttore europeo. Sul fronte della qualità, attualmente l’offerta italiana è ancora incentrata su “varietà storiche” come Vittoria, Palieri, Italia e Red Globe e presenta una disponibilità di nuove varietà di uve seedless – sebbene in progressivo aumento negli ultimi anni – ancora non adeguata alla domanda. Per questo motivo le esportazioni italiane sono sempre più minacciate dai paesi produttori emergenti che sono in grado di guadagnare quote sui principali mercati di sbocco grazie a uve di elevata qualità, ben presentate e offerte ad un prezzo competitivo.L’andamento delle esportazioni italiane di uve da tavola tra il 2015 ed il 2019 evidenzia una sostanziale stabilità in termini di volumi intorno alle 450mila tonnellate. L’aumento dei prezzi medi ha determinato la crescita degli introiti, a valori correnti, anche se nel 2019 c’è stata una battuta d’arresto a causa della minore disponibilità di prodotto. Per quanto concerne i mercati di sbocco delle uve da tavola italiane, i paesi dell’Unione europea hanno un peso enorme, assorbendo in media il 90% delle esportazioni complessive. Oltre alla quota detenuta dai Paesi Ue va considerata anche quella appannaggio della Svizzera che detiene una quota del 5% e della Finlandia con un ulteriore 1%. Il podio dei clienti dell’Italia è composto da Germania, Francia e Polonia. La Germania è saldamente in testa alla graduatoria con circa un terzo dell’export complessivo. A seguire la Francia con il 18% e la Polonia il 9%. Il Regno Unito – che uno dei principali importatori mondiali di uve - figura solo al sesto posto preceduto da Svizzera e Spagna. Tra i clienti extra europei, si distinguono alcuni Paesi del Golfo (Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar), Nigeria e Sri Lanka. Di contro, Usa e Canada hanno un peso trascurabile. Per gli operatori interessati a esportare uve negli Emirati Arabi Uniti si segnala il recente report Ismea-Rrn “Esportare uva da tavola negli Emirati Arabi Uniti”.Segnali incoraggianti arrivano dalle prime battute della campagna commerciale 2020 della produzione italiana. Le esportazioni infatti, sono aumentate del 35% rispetto al primo semestre 2019, anche se sono praticamente invariate rispetto ai livelli medi del triennio 2016-2018. Nel primo semestre del 2020, il prezzo del prodotto esportato è diminuito del 5,5%, su base annua. L’aumento delle spedizioni ha riguardato tutti i principali mercati di sbocco europei, compresa la Svizzera. Germania, Francia, Austria, Polonia e altri paesi dell’Europa dell’Est si sono posti in particolare evidenza.Per quanto riguarda le importazioni italiane di uve da tavola, tra il 2015 ed il 2019 sono diminuite da 24mila a circa 22mila tonnellate. Il prezzo medio del prodotto importato risente dell’andamento del mercato mondiale ed è cresciuto fino al 2018 mentre nel 2019 si è leggermente ridotto. I due terzi delle importazioni provengono dall’area dell’Unione europea. Tra i fornitori spiccano i Paesi Bassi (31%) - leader per le forniture di prodotto di contro stagione proveniente dall’emisfero australe (Cile, Peru, Sudafrica e Namibia) - e la Spagna (21%) per il prodotto stagionale. A seguire Belgio e Francia con una quota del 4%. Tra i fornitori extra Ue si distinguono Cile (13%), Egitto (11%) e Perù (7%).Nel primo semestre del 2020, le importazioni sono sostanzialmente stabili rispetto agli anni precedenti e riguardano il prodotto di contro stagione, proveniente dall’emisfero australe (per lo più da Cile e Sudafrica) e le primizie che aprono la campagna del nostro emisfero, proveniente per lo più dall’Egitto. Il prezzo medio del prodotto importato ha registrato un sostanziale incremento su base annua, +8%. Nel primo semestre, nonostante flessione del 22% su base annua, i Paesi Bassi si confermano il primo fornitore dell’Italia con circa 3.600 tonnellate. A seguire si posizionano Germania e Spagna con un incremento dei quantitativi esportati verso l’Italia rispettivamente del 90% e del 13%. Tra i fornitori extra Ue, calano le importazioni in quantità da Cile (-27% su base annua) ed Egitto (-14%), mentre crescono quelle dal Perù (+27%).