
Milano, 13 apr. (Adnkronos) - "Solo chi non conosce bene il caso poteva rimanere stupito, chi ci lavora come me dal 2007 sa che ci sono decine e decine di elementi che non tornano. Il fatto che 16 anni dopo un giudice si è accorto che questa sentenza non sta in piedi dimostra da un lato che il sistema giustizia funziona, ha gli anticorpi, ma funziona quando ci sono magistrati coraggiosi che hanno la voglia e la forza di rimettere in discussione un verdetto". A parlare all’Adnkronos è Felice Manti, giornalista e autore del libro 'Il grande abbaglio. Controinchiesta sulla strage di Erba', all'indomani della notizia che il sostituto procuratore di Milano Cuno Tarfusser si è espresso sull’ipotesi di revisione sul caso con una relazione che ora dovrà essere valutata dai vertici della procura generale. Tre le 'prove' che non convincono il cronista che ha seguito tutte le fasi processuali e letto i numerosi atti d’indagine che hanno portato alla condanna all'ergastolo, in via definitiva, per i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi. "Le confessioni non stanno in piedi e non collimano con i rilevi scientifici, quindi non sono affidabili. Il riconoscimento di Frigerio (testimone oculare, ndr) è tardivo e impossibile: inizialmente l'identikit non corrisponde al noto vicino di casa e dopo il suo ricordo si modifica. La piccola macchia di sangue, sul battitacco dell’auto della coppia, è un atto di fede: potrebbe essere frutto di una contaminazione involontaria qualora esista, perché io quella macchia non la vedo". In sintesi, "Non sono stati Olindo e Rosa". L'elenco delle cose che non convincono il cronista de Il Giornale è ben più lungo, come l'omicidio della vicina di casa Valeri Cherubini - che si aggiunge ai tre della famiglia Castagna - o la via di fuga degli aggressori. "Speriamo che la procura di Brescia (cui spetterà valutare la richiesta di revisione che la difesa si appresta a consegnare) abbia l'intelligenza di riconoscere che gli errori avvengono e abbia la forza di liberare persone da accuse ingiuste. In un momento in cui con la legge Cartabia si vogliono comprimere gli spazi di azione, io rivendico la libertà di andare controcorrente, di non fare un giornalismo 'copia e incolla' e di mettere in discussione delle sentenza scritte 'In nome del popolo italiano'" conclude Felice Manti.
Leggi anche