SASSARI. Giunge a una svolta l'inchiesta bis della direzione distrettuale antimafia sul sequestro di Titti Pinna, l'allevatore di Bonorva rapito il 19 settembre del 2006 e liberato dopo otto mesi di durissima prigionia. Un allevatore di 51 anni di Giave, Antonio Faedda, e un altro allevatore di Bonorva, Giovanni Maria Manca, di 44 anni sono stati arrestati: sarebbero stati loro a prelevare l'ostaggio proprio dalle campagne di Bonorva, per poi consegnarlo ai suoi carcerieri. In questa fase, avrebbe collaborato una complice, finita anche lei nell'inchiesta, ma non raggiunta da un provvedimento di custodia cautelare. I due sono stati rinchiusi nel carcere di Massama, a Oristano. Secondo gli inquirenti, i due allevatori avrebbero consegnato ai carcerieri Titti Pinna che venne prima richiuso nel nascondiglio di Lochele, nella vallata tra Sedilo e Ottana, e poi nel nascondiglio prigione ricavato nell'azienda alla periferia di Sedilo, entrambe gestite da Salvatore Atzas, l'allevatore già condannato a 30 anni di carcere per il sequestro.
Gli inquirenti hanno riferito che Titti Pinna ha riconosciuto il veicolo Kangoo nelle disponibilità di Giovanni Maria Manca, utilizzato per il trasporto dell'ostaggio. Ci sono poi i riscontri dei tabulati telefonici che confermano come i cellulari di Manca e Faedda all'ora del rapimento avessero agganciato i ripetitori che servivano il tragitto utilizzato per la consegna del rapito. L'operazione aggiunge un tassello molto importante all'inchiesta che finora non aveva ancora fatto emergere le responsabilità della delicata fase del prelievo dell'ostaggio. Particolari che adesso vengono alla luce, come hanno spiegato stamane nella conferenza stampa tenutasi in Questura, a Oristano, gli inquirenti che hanno svolto un lavoro d'equipe al quale, sotto il coordinamento della Procura distrettuale antimafia, hanno dato il loro apporto il capo della Squadra Mobile di Oristano Pino Scrivo, i colleghi della Mobile di Cagliari Leo Testa e di Sassari Bibiana Pala, oltre al capitano dei Ros dei carabinieri Dario Pini e al capitano Alfonso Musumeci della Compagnia dei carabinieri di Ghilarza.