(Adnkronos) - Dopo un aumento coordinato nel periodo più acuto della crisi finanziaria internazionale in cui le banche vennero chiamate a sottoscrivere emissioni massicce di nuovo debito per finalità espansive, sottolinea, "la quota detenuta dai sistemi bancari nazionali tende a decrescere dappertutto, in maniera eclatante in Giappone dove il coinvolgimento era stato sempre più elevato ma anche negli Usa e nel Regno Unito. L’andamento per l’Eurozona ricalca grosso modo quello della media Ocse (-5% in 15 anni), anche se negli ultimi anni le 5 banche europee hanno proseguito in media il deleveraging delle proprie posizioni più rapidamente delle altre". Oltre alle banche, aggiunge Minnena, "si osserva peraltro la simultanea riduzione del peso del settore privato non finanziario di 11 punti percentuali. Attenzione però: nel complesso il debito nelle mani di soggetti nazionali rimane poco variato. Ciò a causa dell’entrata in campo delle banche centrali diventate un po’ ovunque un importante acquirente di titoli governativi: tra il 2004 e il 2019 il loro peso come detentori di debito pubblico è salito dal 4% al 13% per l’area Ocse e dal 2% al 16% per l’area Euro. Raffinando ulteriormente l’analisi, è possibile esaminare l’andamento della quota di debito pubblico nazionale detenuta dalle banche core e periferiche dell’Eurozona".La decomposizione, aggiunge, "consente di cogliere due fenomeni importanti: il trend di riduzione del ruolo delle banche nazionali è più evidente per i Paesi core ed era già in corso prima della crisi finanziaria del 2008-2009. La crisi stessa ha solo marginalmente influito sull’andamento di queste variabili che sembrano convergere verso un valore medio di circa il 16-18%. Per quanto riguarda i Paesi periferici, il grado di dispersione delle variabili era già alto nel 2004 (il peso delle banche nazionali in Spagna era già al 35%, solo all’8% in Portogallo) e soprattutto non si ravvisava nessuna tendenza alla riduzione; piuttosto, in Paesi come l’Italia il trend era dichiaratamente in aumento".