OLBIA. Così diversi, così simili. Diversi nell'interpretazione dell'arte pittorica, simili nella maestosità dei colori, diversi nell'astrazione e figurazione. Ma tutti e tre accomunati dallo stesso amore per la pittura e dalla stima reciproca. Giovanni Manunta Pastorello, Silvia Idili e Roberto Chessa fanno parte di quella schiera di artisti sardi che stanno scrivendo, pagina dopo pagina, opera dopo opera, una parte della storia dell'arte contemporanea dell'Isola. L'associazione ArteCricuito, in particolare il suo attento presidente Luigi Angius, ha ritenuto doveroso render omaggio a questi pittori con l'allestimento di una bellissima mostra, dal titolo "La forma delle cose" che inaugurerà proprio oggi a Sassari nello spazio espositivo di via Enrico Costa.
Fino al 14 aprile dalle 18.30 alle 20.30 sarà possibile accedere all'esposizione curata da Camilla Mattola. Tre generazioni diverse, con carriere ed esperienze diverse. Tutti hanno varcato il mare per studio o per lavoro e mentre Pastorello e Chessa hanno poi deciso di far rientro in Sardegna per trasferirsi stabilmente, a Sassari, la Idili, invece, ha deciso di rimanere a Milano dove vive e lavora. Anche dal punto di vista artistico, i loro percorsi di scoperta e sperimentazione della pittura derivano da spunti e interessi personali divergenti ma accomunati da una serie di rimandi concettuali. La pittura di Pastorello – uno dei protagonisti dell'arte in Sardegna a partire dagli anni Ottanta – appare violentemente espressiva e gestuale, con colore e segno lasciati liberi di trasfigurare soggetti e ambientazioni. Sospesi tra figurazione e astrazione, i suoi dipinti richiamano l'espressionismo tedesco e il graffitismo, ma fanno anche riferimento a simboli e figure dell'arte e del folklore sardo. Volti grotteschi e ambientazioni dall'atmosfera onirica conducono lo spettatore a confrontarsi con l'arbitrarietà della percezione. Silvia Idili coniuga la ricerca di introspezione psicologica con lo studio della forma. Influenzata dall'esperienza svolta nell'ambito della scenografia, sceglie per i soggetti dei suoi dipinti – spesso femminili, come nella serie le Visionarie – una composizione frontale o una posa di tre quarti su palcoscenici vuoti e bui, che rendono le immagini simili a finestre sull'inconscio evocative delle atmosfere rarefatte del Surrealismo.
Che si tratti di figure femminili o di animali – come il lupo, il cavallo e la capra – la presenza di strane forme geometriche policrome, dalla consistenza simile a stoffa, ci impedisce di cogliere in pieno la loro fisionomia e alludono alla loro dimensione emotiva. I dipinti di Roberto Chessa sono dominati da composizioni e strutture geometriche rese con linee grafiche. Con contorni netti e colori stesi con pennellate uniformi e piatte, queste figure sembrano sospese in uno spazio indefinito, con cui si relazionano attraverso l'alternanza di vuoti e pieni.
La ricerca della resa grafica, l'associazione di colori vivi e brillanti richiamano la street art e il mondo della cultura urbana in generale.
Le forme tese di queste figure creano l'illusione di organismi in espansione nello spazio e giocano con la percezione dello spettatore, che vi può riconoscere sagome di animali o oggetti.
Messe insieme, queste tre esperienze rivelano come nell'arte contemporanea la pittura appaia ancora come un mezzo per indagare la vera forma delle cose. Una forma che non è data soltanto da ciò che vedono i nostri occhi ma anche dai contenuti culturali, sottintesi intimi, risvolti psicologici che hanno, almeno nella dimensione della pittura, una consistenza materiale. Muovendosi tra astrazione e figurazione, tra simbolismi e suggestioni, i tre artisti indagano in modi diversi una realtà intesa in chiave unitaria, dove il risultato della percezione sensoriale è inseparabile dai suoi sottintesi immateriali.
© Riproduzione non consentita senza l'autorizzazione della redazione

