È un mercoledì mattina di primavera quando la suoneria intona la melodia di Williams Pharrell – Happy – (quella che i miei figli chiamano Minions) e il nome di Mark compare sul display del telefono.
Mi si illumina una lampadina e rispondo.
Mark è un uomo che ha girato il mondo e, come ogni anno, fa tappa a Porto Cervo per le regate. Come da scaramantica consuetudine, mi prenota per un caffè e per fare quelle due chiacchiere che, come dice lui, sono il migliore degli auspici per tutta la sua imbarcazione, vincente nelle ultime edizioni.
Già mi vedo.
La decappottabile delle grandi occasioni, la pashmina color crema che svolazza, le note di Get Lucky che danzano nell’abitacolo, come Grace Kelly in Caccia al ladro. E invece no, la mia Kia impolverata è ferma a bordo strada e l’uomo che mi ha appena tamponato non è Hitchcock che vuole rigirare la scena, ma tale Franco che ha visto lo stop all’ultimo momento.
Mentre il mio nuovo amico Franco mi chiede se ho con me un CD (che poi scopro essere la sua personalissima visione della Constatazione Amichevole) la mia mente è andata in stand-by, quasi volesse preservare quel minimo di freschezza per la giornata. Poche scartoffie che non intaccano il mio umore e si parte. Ovviamente in ritardo, parola entrata di diritto nel mio vocabolario quotidiano. Pagina uno.
Ok, la poetica visione mattutina è ora composta da capelli arruffati, maglia impolverata, occhiali appannati e trucco leggero sbavato qua e là.
Corro. Mark mi aspetta per l’augurio porta fortuna.
Varco finalmente l’ingresso. C’è fermento nell’aria. Si respira. Gesti frenetici e alfieri immobili che sfidano l’orizzonte. Uomini che corrono, altri che meditano. La vela è un mondo a sé. Le condizioni meteo sono perfette per veleggiare.
Intravedo in lontananza un indaffaratissimo Mark che sta cercando